L'arte insegna all'uomo la responsabilita' della creazione.
Quando diventa una preghiera, la divinita' interiore e' risvegliata.

Satvat

venerdì 29 aprile 2011

La magia delle tablas de estambre

José Benìtez Sànchez - El nierika de Tatusi, 1980

Le "tablas de estambre" sono un importante esempio di arte spirituale tradizionale. Prodotti nell'ambito dello sciamanesimo huichol del Messico, hanno una particolarissima tecnica di costruzione: lo sciamano/artista cosparge una tavola di legno con una cera speciale detta campeche e procede ad tracciare su questa le linee essenziali che rappresentano la sua visione; poi utilizza dei fili variopinti (spesso di lana) che vengono impressi sulla cera, e con questi forma il corpo delle varie figure. Il risultato di questo processo è una sorta di arazzo non tessuto, straordinario per forza espressiva ed evocativa. 

Possiamo riflettere sul significato simbolico ed energetico di questa peculiare operazione creativa: a differenza di un dipinto (in cui i colori sono organicamente intrinsechi all'opera), nella tabla de estambre i fili policromi restano virtualmente liberi, anche se sono figuralmente fissati sulla cera di campeche; potremmo dire che l'intento della visione sciamanica evoca un kosmos potente, che tuttavia non rinuncia alla consapevolezza trascendente del non-formato. Una simile comprensione è quella che porta alla distruzione finale dei mandàla o dei disegni di sabbia dei Nativi Americani. I disegni simbolici delle tablas de estambre non sono mai semplicemente decorativi, ma derivano dall'esperienza interiore della nierika (visione spirituale) che è connessa con la cerimonia sacra del peyote; sono viaggi dell'anima dello sciamano, che incontra figure mitiche e spirituali, molte delle quali appartengono al bestiario totemico. 

Vorrei cogliere l'occasione per rendere omaggio a José Benìtez Sàncez Viandante Silenzioso, il grande maestro di quest'arte – recentemente scomparso – che ha rinnovato i canoni delle tablas de estambre e le ha fatte conoscere anche fuori dai confini tradizionali, con importanti mostre negli Stati Uniti e in Europa. Credo che in questo momento, in cui l'Arte ha l'irrinunciabile necessità di ritrovare le proprie radici spirituali, sia quanto mai interessante la meditazione su forme artistiche straordinarie ed esoteriche, quali le tablas de estambre, la pittura del dreaming degli aborigeni australiani, e il grande complesso dell'Arte Orientale.
José Benìtez Sànchez - Il Viandante Silenzioso, 2000

sabato 23 aprile 2011

L'uovo cosmico
Se i cristiani festeggiano con la Pasqua la resurrezione di Cristo, l'avvento della Primavera sancisce universalmente il ciclo cosmico della rinascita. L'uovo pasquale è chiara rappresentazione dell'uovo cosmico, che segna il passaggio ad un nuovo ordine creativo. L'uovo cosmico, che contiene il germe della vita nuova, si schiude e rende manifesto un nuovo miracolo esistenziale. Nello stesso modo, rompiamo l'uovo pasquale trovandovi la sorpresa, che simbolicamente è dono che emerge dal mistero dell'essere. In senso spirituale, l'essere umano è come l'uovo, perché contiene un principio di vita perennemente nuovo, che emerge ineffabilmente dal qui e ora; questo è celato dalla dura crosta dell'ego.
Il mio augurio per la Pasqua è che ognuno possa rompere l'uovo dell'abitudine, della paura, dell'indifferenza, del cinismo e della sfiducia, scoprendo nell'interiorità la fonte eterna dell'amore, della creatività e della gioia. Tale fonte sana e rigenera, svelando che il nostro senso del limite era illusorio e che la sostanza è in verità dolce come il cioccolato. Ecco, quando rompiamo l'uovo pasquale proviamo a pensare a questo, a sentirlo in noi e a trovare il modo di condividerlo con chi abbiamo vicino.


TANTI AUGURI DI BUONA PASQUA

giovedì 21 aprile 2011

Non tradizionalismo ma semplice buonsenso

Satvat - Buddha/Rebis - acrilico su tela, 2011

Sono conscio del fatto che, almeno per quanto riguarda l'Arte, potrei apparire tradizionalista. Nel senso che apprezzo le opere vere, create dall'artista con appassionato e sincero impegno, mentre ritengo irrisorio e noioso il pastume concettuale, ad esempio le sgangherate istallazioni che vanno tanto di moda. Credo infatti nell'artigianalità artistica che, tramite il gesto manuale, imprime nell'opera la viva ispirazione e l'energia che ha attraversato l'autore. Il processo dell'Arte è fortemente alchemico, ed è proprio mediante la partecipazione intuitiva dell'artista, nelle varie operazioni dell'opera, che può instaurarsi il processo evolutivo dell'idea. In tal modo l'autore si approfondisce nel mistero della creazione, testimoniando ed applicando un'ispirazione che man mano si rende meno personalistica e più universale. 

Solo questo può trasmettersi efficacemente allo spettatore e all'amante dell'Arte: una rilucenza spirituale che l'artista ha coltivato nel sacrario dell'interiorità quanto nell'imposizione del gesto che va a trasformare la materia. Il "concetto artistico", come arbitrio mentale, resta impotente e sterile, ben poca cosa rispetto al grande potere che il profondo mistero dell'ispirazione instilla nel cuore dell'artista. Egli si adopera a tradurlo in opera, verificandolo e sublimando i propri sentimenti privati nel crogiolo dell'alchimia operativa dell'Arte. La grande differenza è tra un'arte mentale e caricata artificiosamente, in cui l'autore riversa i propri limiti, e un'arte, la vera Arte, che invece scaturisce dal cuore e richiede all'artista di superare se stesso. Questo superamento di stato, come sa ogni vero artista, può avvenire unicamente con totalità e meditazione, maturando l'impulso creativo nell'operare sensitivamente con le materie. Trasformandole, seguendo la saggezza ancestrale dell'intuizione, l'artista assapora il "piacere dei saggi" e dispiega le ali dell'anima. 

È quel volo dell'anima, di cui si accende la vera opera d'arte, che si trasmette empaticamente allo spettatore. Tutto il resto è solo un triste inganno, un incantesimo mentale e sofferente che infesta abbondantemente l'arte attuale, che è sociopatica nel senso che può solo reiterare le ombre disperate della mente di massa. La vera rivoluzione dell'Arte consiste nel ritrovare le sue radici profonde e sempre attive.

venerdì 15 aprile 2011

Deineka e Crepax

Aleksandr Deineka - La difesa di Pietrogrado, 1928

Prima di vedere la sua mostra attuale al Palazzo delle Esposizioni di Roma, non conoscevo la pittura di Aleksandr Deineka, maestro del realismo sovietico, ma conosco bene Guido Crepax - il creatore della mitica Valentina - e la sua pregevole opera nel fumetto italiano. Mi direte: che c'entra? Tuttavia c'è effettivamente una similitudine straordinaria. Il disegno di Crepax ricalca piuttosto fedelmente certi stilemi di Deineka, almeno della sua pittura degli anni '20 e '30. Non parlo certo di plagio bensì di un'affinità elettiva, anche del segno, che ha fatto rinascere nelle ambientazioni intellettuali degli anni '70 italiani ciò che Deineka aveva artisticamente tradotto dalle celebrazioni rivoluzionarie bolsceviche. Uno stile asciutto ma raffinato, sintetico quanto immaginativo; anche il taglio quasi cinematografico appare simile. Basta vedere alcuni quadri di Deineka come Prima della discesa in miniera (1925), o Stato maggiore dei bianchi; interrogatorio (1933), o Disoccupate a Berlino (1932) il quale, più di tutti, potrebbe essere confuso con le suggestive inchiostrature di Crepax. 

Il disegnatore italiano ha raccolto con passione quell'eredità espressiva fecondata dall'idealismo di sinistra; son certo che l'ha intensamente studiata sino a farla propria, e in tal modo ha creato qualcosa di nuovo, più moderno e radicalmente diverso. Nel radicalismo salottiero di Crepax l'enfasi populista non ha trovato spazio, e la similitudine ha divagato su sentieri intimamente diversi; infatti Crepax si è avventurato in prospettive oniriche e psicologicamente esoteriche, che il materialismo storico della cultura sovietica ha totalmente ignorato. Il fumetto crepaxiano ha sognato eversivamente ben oltre il realismo, cambiando le visioni figurali ed anche politiche, con quell'immaginazione al potere rivendicata dal movimento del '68. 

Disegno di Guido Crepax
Anche nell'esibizione centrale del corpo. Per il realismo sovietico la corporeità è pura celebrazione fisica, matericamente naturale, che sottintende una mente sana in senso più semplificativo che nell'antica concezione greca, decisamente non individualistica; Deineka ha osannato tale osservanza con schiere di ginnasti nudi e spensierati, mostrando un erotismo campestre ed affatto problematico. Crepax ha invece rivelato la vertigine psicologicamente erotica vissuta dal corpo, con le avventure conturbanti e quasi surrealiste delle sue eroine di carta; egli ha avuto il coraggio di scoperchiare il vaso di Pandora dell'anima, affrontando l'incertezza della mente individuale, la sua sfida ad elaborare la "visita interiora terrae" del processo d'individuazione.

 ALEKSANDR DEINEKA
Il maestro sovietico della modernità
PALAZZO delle ESPOSIZIONI - ROMA
19 Febbraio - 1 Maggio 2011

domenica 10 aprile 2011

Riflessioni in giallo


La nostra epoca, così confusa al livello artistico, sforna una quantità enorme di opere ispirate al crimine. Nella letteratura, così come nel Cinema e nelle produzioni televisive, ciò non è mai accaduto prima, nell'intera storia dell'umanità, e sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. Ad esempio, basta entrare in qualsiasi libreria per vedere che il pingue settore dei thriller, posto bene in evidenza, è molto frequentato. Il crimine vende bene. I romanzi polizieschi, insieme ad altre forme letterarie leggere, si diffondono all'inizio del Novecento, con l'avvento della lettura di massa. La letteratura continuava a stimolare intellettualmente il lettore raffinato, ma accontentava anche il vasto pubblico con libri di carattere più popolare. Molto diversi dai thriller attuali, i libri cosiddetti gialli sfidavano il lettore a risolvere l'enigma poliziesco, ed erano generalmente ingegnosi e scritti bene, senza indulgere nell'orrore. Roba da scolarette rispetto alle celebrazioni orripilanti dei thriller moderni, conditi all'inverosimile con sangue, sesso e turpiloquio; quelle attuali sono storie scritte male e tirate per i capelli, giusto per sguazzare senza ritegno nello splatter. Eppure piace molto.

I dignitosi gialli di una volta erano comunque un settore marginale e senza pretese nel grande corpo letterario, ed era chiaro che la letteratura vera, quella che fa parlare l'anima, era tutt'altra cosa. Invece il crimine è diventato un fattore saliente della nostra cultura (sic!), e nessuno si chiede perché, né se sia sano o almeno tollerabile. Ad una prima analisi, si può dire che non ci si vuole impegnare intellettualmente ma si cerca sostanzialmente l'evasione; così si guarda annoiati il Grande Fratello e anche ci si crogiola nei racconti di crimini efferati. Inoltre il thriller specchia la cocente reattività dell'io, oggi come non mai sottoposto a pressioni, contraddizioni e dolorose frammentazioni. Se queste motivazioni sono comprensibili con il semplice buon senso, c'è però anche una ragione più profonda, che necessita di una visione esoterica.

In senso metafisico, il ventre dell'essere umano presenta i centri sottili della vita (sessualità, piacere, espansione) e della morte (contrazione, non-essere); questi centri polari sono molto ravvicinati. Accade che l'intensa pulsazione del centro dell'eros vada a stimolare la pulsione del centro mortifero, da cui la paura ancestrale che associa il sesso alla morte. Nello stesso modo, la stimolazione del centro negativo si trasmette perifericamente a quello vitale, da cui deriva una sorta d'attrazione erotica per ciò che spaventa. In una certa misura ciò è spontaneo e innocente, però si può decadere in forme patologiche. Ciò comporta che le emozioni negative, provocate da visioni o letture conturbanti, giungano a titillare inconsapevolmente dall'esterno la pulsione del piacere sessuale, ovviamente in modo distorto ed insano; questo origina all'estremo le perversioni sadiche o masochiste. Ma effettivamente è quello che succede quando ci immergiamo in narrazioni fortemente tenebrose senza capacità di discernimento e di consapevolezza: si attiva il centro mortifero che provoca pericolose contrazioni, le quali vanno a stimolare di riflesso il centro sessuale, in modo subdolamente masturbatorio.

Lasciandosi attrarre perniciosamente nel negativo, questo fraintendimento energetico può danneggiare seriamente la nostra reale connettività vitale, distorcendo sia la gioiosità sessuale che la visione naturale della vita. La nostra cultura, precipitata nell'edonismo negativo, ha sicuramente la colpa della diseducazione del gusto quanto dell'inquinamento percettivo; ma pure ogni individuo è responsabile in prima persona di ciò che sceglie d'introiettare, e quindi dell'atmosfera pestilenziale che anche in tal modo grava oggi sull'essere umano. Meditate, gente!

mercoledì 6 aprile 2011

Tamara de Lempicka - bella senz'anima

Tamara de Lempicka - Rafaela su fondo verde (il sogno), 1927
Tamara de Lempicka è tra gli artisti più saccheggiati dai "falsi d'autore"; non solo perché il suo modellato e le sue campiture di buona scuola sono tutto sommato agevoli da imitare. In questo inizio del Terzo Millennio la sua pittura piace molto, perché rispecchia quella carenza d'anima, coperta dal luccichio del glamour, che oggi va per la maggiore. Non a caso molti personaggi dello Star System si sono ispirati ai suoi modelli, uno fra tutti Madonna.

La pittura di Tamara de Lempicka è popolata da figure che troneggiano sulle tele in pose enfaticamente teatrali, con un allure aristocratico sottolineato spesso con sciarpe svolazzanti. I ritratti maschili mostrano l'arroganza del loro ruolo, mentre le tante figure femminili sono prese dalle raffinatezze della moda e, pur se nude, risultano ricoperte da un impenetrabile splendore d'acciaio. Queste sono dee dell'immagine, di un apparire sensuale dove manca l'afrore della carne e del sentimento, gonfiate con languidezza di mestiere che intende sedurre senza mai concedersi.

E' stata brava Tamara de Lempicka, con i pennelli come con la sua vita sregolatamente snob e rampante, a creare un incantesimo sfolgorante ma ben poco autentico. Ha dipinto, ha amato e ha peccato, ma senza l'incertezza magica che apre l'anima al mistero; in ogni caso l'ha fatto con ostentazione orgogliosa, restando inchiodata al mito vacuo da lei stessa creato. Anche nei ritratti sensuali della sua amante Rafaela, ha saputo comunicare solo un brivido a fior di pelle.

I quadri nella prima sala della mostra del Vittoriano, quelli realizzati nella povertà giovanile che ha preceduto il successo, sono più veri e innocenti, anche se non ancora maturi. C'è in questa mostra un solo quadro che mi ha davvero colpito, intitolato Ritratto di Ira P. (la sua tristezza), 1923. Ira Perrot, la sua amante di una vita, viene ritratta con umanità sensibile e ricca di partecipazione.

Per sfuggire al calvario della Storia che innalzò la croce uncinata del nazismo, ma anche per seguire la spinta propulsiva della modernità, l'artista si trasferì in America. Nel Nuovo Mondo del progresso e dei grattacieli, Tamara de Lempicka fu un'ottima promotrice di se stessa e cavalcò l'onda della più spregiudicata mondanità. Però nell'America degli anni '40, mentre la nuova pittura americana sperimentava il potere eversivo dell'anima, la trasgressività leziosa della pittrice non fu più apprezzata. Lei riparò in Europa, allora artisticamente tarda rispetto alla rivoluzione espressiva americana, per godersi gli scampoli del proprio successo. Poi, sul viale del tramonto, tentò un classicismo ispirato a Vermeer, Caravaggio e Botticelli, con risultati, a mio parere, mediocri, poiché sostenuti da vuoto mestiere.

La mostra romana al Vittoriano offre un interessante ed esauriente panorama del lavoro di questa "regina del moderno", che era stato sinora poco esposto, almeno in Italia. Ed è per noi l'occasione di meditare sulla Storia dell'Arte e sul suo irrinunciabile patrimonio d'Anima.